Le origini della seta
Una storia millenariaNel 1952 viene pubblicato in Italia un libro di Antonio Bamonte il cui titolo – Le Origini Mediterranee della Seta – ancora oggi appare singolare, ma scorrendone le pagine il suo contenuto si mostra di grande interesse, ricchissimo di citazioni storiche e riflessioni che introducono la grande tematica dell’origine della Seta.
L’opinione comune ha consolidato nel tempo la credenza che la seta sia stata una esclusiva invenzione dei cinesi, ma ciò non corrisponde del tutto alla verità storica e il libro di Bamonte ne dà una dimostrazione per quel che attiene il Mediterraneo ripercorrendo la storia e le fonti documentali che fanno menzione delle famose Vestes Bombicinae.
Nel libro XI della Storia Naturale, che Plinio dedica agli insetti e in citazioni del libro IV, viene menzionata la seta dell’Assiria (bombice assirio) e quella delle isole greche di Coo (Cos) e Ceo. Viene descritto un grosso bruco che nell’ultimo stadio di sviluppo si racchiude in un Bombyx (bozzolo). Plinio scrive: “L’arte di dipanare i bozzoli per tesserli di nuovo (redordiri rursusque texere) fu escogitata per la prima volta da una donna dell’isola di Cos, Panfile, figlia di Platea, che non va privata della gloria di aver trovato il sistema di denudare le donne vestendole”.
Il significato del termine Redordiri letteralmente “disfare” in latino sembra indiscutibilmente legato con una operazione di sfilatura di un intreccio per fare qualcosa di nuovo. Potrebbe essere l’archetipo della odierna trattura?
Pittura parietale pompeiana. Museo Nazionale – Napoli
Pachypasa Otus – Il bombice del lentisco
Sericum e Bombycina
Non molti sanno che un certo tipo di seta veniva prodotta nel Mediterraneo molto prima dell’arrivo di quella cinese.
Il luogo elettivo di questa produzione era l’isola greca di Cos e i molti riferimenti documentali di epoca Romana e Greca la indicano con il termine di Bombycina.
Destinata alla confezione di indumenti femminili era altra cosa di ciò che più tardi verrà designata con il termine di sericum.
La seta del Mediterraneo Pachypasa Otus – Il bombice del Lentisco
Nei primi anni del 1800 il grande naturalista Emilio Cornalia, basandosi sulle descrizioni documentali, identificò l’insetto dal quale veniva prodotta l’antica seta di Cos.
Il suo nome è bombice del lentisco e corrisponde a Pachypasa Otus, lasiocampidae che vive a spese non solo del lentisco, ma di querce, cipressi, terebinto e molte altre piante della macchia mediterranea.
È specie biennale, sverna come larva e produce nel secondo anno bozzoli di grandi dimensioni dai quali è possibile ottenere una seta tratta o cardata di ottima qualità.
L’invasione inarrestabile
Gli storici ci dicono che i Romani conobbero la seta cinese per la prima volta nella battaglia di Carre, quando i Parti distrussero le legioni guidate da Licinio Crasso.
I colori sfavillanti, mai visti prima, degli stendardi in seta dei Persiani impressionarono enormemente i soldati romani.
Nel 1953 il professor Dubs di Oxford formulò la sua teoria più sconcertante: Liqian è la città cinese dove si rifugiarono le truppe di Crasso superstiti?
A Liqian (nome forse derivato dalla storpiatura di Licinio) molti abitanti hanno gli occhi azzurri o i capelli biondi e tratti somatici con una forte componente occidentale.
E’ argomento questo privo di grandi certezze, ma nel 53 a.c. , giusto qualche anno dopo la battaglia di Carre, l’impero vantava il dominio dell’intero mediterraneo, Siria inclusa e sebbene il primo tentativo di rompere lo sbarramento dei Parti ed estendersi ad oriente fosse stato disastroso, è ragionevole pensare che i bottini delle incursioni successive portarono a Roma per la prima volta la seta.
Pochi anni dopo le fonti documentali riportano che Cesare, nella celebrazione del suo il suo trionfo, stupì il popolo facendo stendere tele di seta sopra gli spettatori a protezione dal sole.
In quegli anni la diffusione della seta cinese fu inarrestabile e non molti anni dopo il senato stesso con un editto cercò di proibirne l’uso almeno per l’abbigliamento maschile.
I Romani, così come i Greci, non conoscevano la Cina e con il termine Seres indicavano genericamente i produttori del velo serico (sericum).
Bamonte ci dice che il termine potrebbe essere comparabile a – bachicoltori- ma non vi era nessuna connessione geografica precisa, tantomeno con la Cina.
È stato un errore frequente la deduzione, sempre riportata, che i Romani conoscessero i Cinesi con l’appellativo di Seri.
Il grande ostacolo al contatto tra i due imperi fu certamente la distanza geografica, ma ancora più decisiva fu la strenua opposizione dell’impero Persiano che fece una barriera invalicabile per tutti coloro che guardavano ad oriente e fu capace di preservare il domino commerciale tra oriente ed occidente per molti secoli.
I romani mal soffrirono questa dipendenza ma non furono in grado di spezzarla.
L’egemonia persiana nel commercio della seta cinese fu aggirata soltanto in epoca Bizantina con l’accordo tra Bisanzio ed impero Turco. Il tramite operativo fu il popolo dei Sogdiani che importava la seta cinese attraverso il Caucaso evitando la Persia.
Ebbe inizio un lungo periodo di ambascerie tra i due imperi, grandi profitti commerciali e continua ascesa della seta.
Tutto ciò avveniva qualche decennio dopo la ben nota introduzione del baco da seta a Costantinopoli, nel 553 sotto Giustiniano, per mano di alcuni monaci provenienti dalla Serinda.
Quindi lo sviluppo della sericoltura in occidente non fu così immediato, ma il suo primato impiegò molto tempo per radicarsi durante il quale fu la seta cinese a determinare ancora il commercio, le mode e il lusso del tempo.
Il Bisso: La seta del mare
Le riflessioni sulla seta di origine mediterranea non possono dimenticare il Bisso, per secoli noto come seta di mare e in uso per tessere panni e stoffe fin dai tempi dell’antica civiltà Egizia. Il Bisso compare in molte citazioni documentali antiche e soprattutto nella Bibbia dove è possibile raccogliere indicazioni precise sul suo impiego.
Il filamento di Bisso, comparabile alla seta da insetti, è ottenuto da un mollusco bivalva denominato Pinna nobilis, comunemente chiamata nacchera, tipica del mar mediterraneo e dalle dimensioni rilevanti (le valve possono misurare fino ad un metro di altezza). La Pinna nobilis era diffusissima lungo tutte le coste del mediterraneo, in particolare in quelle dell’Adriatico e dello Ionio. Intensamente pescata per l’estrazione del bisso, oggi è specie protetta e fortemente ridotta sebbene vi siano stati in passato studi per la riproduzione artificiale. I filamenti fibrosi derivano da una secrezione proteica, interna alle valve, che viene estrusa per ancorare il corpo dell’animale ai fondali marini. Il fiocco di fibrille che si forma all’esterno va sottoposto ad operazioni di lavaggio, pulizia e cardatura per ottenere filamenti parallelizzati e comparabili ad un nastro di filatura.
Pinna Nobilis – Illustrazioni da Testacea Utriusque Siciliae di Giuseppe Saverio Poli.
Nel Libro dell’Esodo troviamo il passo che segue:
Esodo – 39 – “…. Fecero le tuniche di bisso, lavoro di tessitore, per Aronne e per i suoi figli; – 28 il turbante di bisso, gli ornamenti dei berretti di bisso e i calzoni di lino di bisso ritorto; – 29 la cintura di bisso ritorto, di porpora viola, di porpora rossa e di scarlatto, lavoro di ricamatore, come il Signore aveva ordinato a Mosè.”
Traspare senza alcun dubbio l’importanza e la diffusione del Bisso, ma si ricavano anche dettagli della tecnica di impiego. Non conoscendo il filo di Lino e di Bisso ritorto usato per i calzoni, ma immaginando una comparazione con quanto di più vicino disponiamo, cioè filo di lino e seta, possiamo ritenerlo un prodotto degno di una citazione divina.
Ma la cintura di Bisso è maggiormente illuminante per chi ha conoscenza di fibre e tessuti. Oggi diremmo che ci si trova nel mondo dell’accessorio e non più in quello tessile perché una cintura ha realmente caratteristiche differenti rispetto ad un tessuto.
Immaginiamo che in tempi di agricoltura e pastorizia una cintura dovesse dare garanzia di forza e durata senza limiti, non molto diverse da quelle indossate ad uso militare e non è difficile dedurre che la vicinanza di composizione chimica con la seta ne ha fatto una delle prime fibre tecniche che l’uomo abbia conosciuto.
Wild Sericulture – Preistoria della Seta
La pratica della raccolta di bozzoli selvatici è molto antica e diffusa presso molte popolazioni indigene sin da epoca neolitica. I reperti serici più antichi sono costituiti da corde e cinture costruite con l’intreccio di numerosi fili, in quel tempo l’uomo non conosceva il telaio e la tessitura, ma la possibilità di fabbricare fili sottili e resistenti era un’esigenza diffusa ovunque.
Le fibre vegetali sono grossolane e con scarsa resistenza meccanica, mentre i fili serici sono del tutto comparabili a quelli tecnici odierni ad elevata tenacità ed ampiamente utilizzati anche in epoca recente per la pesca e nella costruzione di paracaduti.
Ciò che oggi è definito banalmente filo era in epoca preistorica uno strumento di straordinaria utilità, ed i fili erano ricavati ovunque attraverso la raccolta di bozzoli selvatici
Ad incominciare dall’Africa possiamo citare la Borocera madascarinesis, lepidottero lasiocampidae selvatico, che produce bozzoli di colore scuro con i quali si ottiene da tempo remoto una seta per costosi indumenti rituali (Landibè).
Le popolazioni locali riescono a far deporre le uova su fasci di rami secchi appesi all’interno di capanne, ne seguono la schiusa ed avviano un allevamento su piante selvatiche controllate giornalmente per allontanare i predatori.
Siamo ai primordi di una tecnica di allevamento che è possibile definire Wild Sericulture, ma sebbene primitiva i risultati sono importanti perché permette un vero e proprio allevamento isolato e produttivo. Sempre in Africa troviamo la Gonometa postica e Gonometa rufobrunea, entrambe vivono a spese di numerose specie di mimose con popolazioni fluttuanti in relazione all’andamento climatico.
Le regioni di massima diffusione sono Sud-Africa, Botswana, Zimbabwe e Kenya. Le specie sono caratterizzate da un elevato dimorfismo sessuale che interessa sia la morfologia del bozzolo che delle farfalle. I bozzoli contenenti una crisalide femmina sono lunghi dai 5 ai 7 cm e ricchi di una seta finissima detta Kalahari Wild Silk. Sempre in Africa, si raccolgono i bozzoli selvatici di Anaphe infrancta (Sanyan silk ) , Argema mimosae, Epiphora bouhiniae. Tutti questi bozzoli sono stati per molto tempo la principale fonte di seta shappe per le filature Inglesi in epoca imperiale.
In diversi paesi del continente americano le popolazioni originarie hanno sempre utilizzato i grossi bozzoli del genere Rothshildia, lepidotteri saturnidi diffusi soprattutto in Messico ed in grado di produrre un filo di seta brillante e di elevata tenacità adatta a fili da pesca e corde resistenti.
Queste tecniche che possiamo chiamare di semi-domestiche o di sericoltura iniziale hanno nell’India la loro patria elettiva. Infatti, in questa regione, sono decine le specie di lepidotteri sericigeni allevate in semi-libertà o dalle quali si raccolgono semplicemente i bozzoli allo stato selvatico.
Oltre che in India nelle Filippine ed Indonesia si produce seta dalla Cricula trifenestrata e una decina di specie diverse sempre appartenenti allo stesso genere.
La Cricula produce bozzoli con parete a forma di rete e dal bellissimo colore metallico dorato. Tutte le sete non da Bombyx mori sono designate oggi con termine no-mulberry silk.
Le specie di maggior rilievo includono:
- Antheraea mylitta (Tasar silk)
- Antheraea perny (Tussah Silk)
- Antheraea assamensins (Muga silk)
- Philosamya ricini (Eri silk)
- Samia canningii
- Attacus atlas (Fagara Silk)
- Cricula trifenestrata (Cricula silk)
- Originaria del Giappone è invece Antheraea yamamai che produce una seta detta Tensan silk.
La farfalla dell’Antherae mylitta che produce la Tasar Silk
Conclusioni sulle origini della seta
Quelle citate sopra sono solo alcune delle decine di specie, ma sono centinaia i lepidotteri che producono bozzoli utilizzati dall’uomo sin da tempi preistorici.
Non solo le leggende mitologiche riportate nei secoli, non solo le citazioni di Omero, Aristotele, Virgilio, Plinio, Ovidio forniscono indizi diretti della presenza della seta nel bacino del Mediterraneo ben prima della famosa spedizione dei monaci ordinata dall’Imperatore Giustiniano, ma popoli lontani ed isolati che non hanno mai conosciuto la Cina e nessun altro paese interessato alla seta hanno sviluppato tecniche di sericoltura primordiale per produrre fili o anche tessuti, come le tribù Yoruba della Nigeria, che raccolgono i bozzoli selvatici di Gonometa postica da tempo immemorabile.
Ma se ogni popolo ha avuto la sua fonte di bozzoli e seta dobbiamo prendere atto del mito e della supremazia della seta cinese.
Il primato della Cina si chiama Sericoltura, in questo paese una specie selvatica, probabilmente Theophila mandarina, è stata trasformata in Bombyx mori attraverso l’allevamento e la selezione cosciente e continuativa.
La farfalla Bombyx mori
In Cina il semplice allevamento primordiale è stato trasformato in una vera filiera produttiva della seta che includeva l’importante fase della commercializzazione. La seta in Cina non è stata semplicemente l’oggetto di culto delle classi agiate, come a Roma e Bisanzio, ma fu trasformata in un sistema industriale e commerciale che gli permetteva dal lontano oriente di giungere a Roma e Venezia attraverso la via della seta.
La seta divenne una sorta di strumento monetario che permise scambi ed accordi politici con popoli vicini a tutto vantaggio della Cina.
Tutto ciò era molto diverso dalla raccolta di bozzoli selvatici o dalla semplice sericoltura primordiale ed è esattamente in tale contesto che nasce e si consolida il primato universale della seta cinese mai tramontato.