Filande Levade
La nostra storiaEugenio Levade – Milano 1914
Eugenio Levade affondò del tutto la mano nella grande bisacca che conteneva i campioni della partita di bozzoli che il venditore gli stava proponendo.
Come sempre gli capitava quando “assaggiava” i lotti, era come se entrasse in uno stato di trance volontario che lo estraniava del tutto dai rumori esterni.
I rumori erano il vociare dei contadini a media-alta tonalità nei centri di ammasso di bozzoli freschi che di lì a poco sarebbero stati essiccati per evitare lo sfarfallamento che rende inutilizzabile il bozzolo alla trattura.
I centri di ammasso erano i luoghi di raccolta dove i contadini, allevatori consorziati, portavano i bozzoli prodotti agli essiccatoi cooperativi per vendere ed incassare subito.
Quella mattina l’aria era tersa e fresca, una giornata tranquilla di tarda primavera, ma la tensione dell’uomo era alta perché la stagione di raccolta stava per finire e, nonostante le condizioni metereologiche fossero state più che buone, ancora non si era riusciti a trovare quello che si cercava né nei centri del trevigiano né in quelli del pordenonese.
Per focalizzare l’attenzione Eugenio chiuse anche per un attimo gli occhi, aveva bisogno di tutta la concentrazione possibile.
Sapeva che quell’allevatore, a capo di una grande famiglia patriarcale con a disposizione un gran numero di braccianti, già l’anno precedente aveva prodotto una grande quantità di bozzoli di ottima qualità, allevati in un’ottima zona e sapeva anche che li avrebbe consegnati, come suo solito, completamente depurati dagli scarti e dai doppioni: la cernita preventiva effettuata all’interno della loro casa colonica avrebbe garantito un risparmio notevole di tempo e di manodopera in filanda.
Con l’astuzia che lo contraddistingueva, Eugenio dieci giorni prima si era recato in visita ai boschi dell’allevatore, portando anche un omaggio floreale alla sua signora.
L’allevatore era un contadino intelligente e svelto al punto che era riuscito a modificare il contratto di mezzadria con il nobile possidente terriero del luogo, in un contratto di affitto per numerosi ettari.
In quel periodo storico i bozzoli venivano assegnati alle filande dall’Ufficio Serico Italiano ed era consuetudine assegnarli alle filande delle località viciniore, per questo motivo Eugenio era praticamente certo di potersi aggiudicare il lotto del bravo allevatore. Anche il prezzo dei bozzoli veniva stabilito dall’USI in accordo con i rappresentanti degli agricoltori, era oscillante a seconda delle rendite che venivano stabilite in contraddittorio, ma rimaneva anche una variabile per un premio che il compratore poteva riconoscere al venditore.
Eugenio si era accordato per un possibile prezzo finale di vendita di riferimento, che voleva dire un prezzo medio stabilito da uno o più mercati scelti di comune accordo tra venditore e compratore. Sapeva bene però che quell’accordo preso sulla parola rappresentava un diritto d’opzione debole a causa delle variabili che sarebbero potute intervenire successivamente.
I suoi sensi vennero altamente sollecitati, quasi all’unisono; il senso tattile dei polpastrelli della mano strofinati sulla corteccia serica del bozzolo doveva rilevare in breve tempo la maturanza dei bozzoli.
Comprimendoli leggermente verificò la loro compattezza, poi con un’altra breve compressione esercitata nella lunghezza del bozzolo con la punta del pollice, mentre le altre dita della stessa mano lo tenevano fermo, verificò che i bozzoli fossero bene incartati sia al centro che alle estremità.
Con il palmo della mano verificò che la grana della corteccia fosse regolare e la bava di titolo fine, grazie ad una sensibilità affinata ai minimi cambi di temperatura, sarebbe stato in grado di rilevare un eccessivo surriscaldamento subìto o un indotto eccesso di umidità, per aumentarne il peso.
Ma quel giorno non percepì nulla di tutto ciò, la temperatura e tutto il resto erano perfetti.
Riaprì subito gli occhi e constatò che la forma, la grandezza, il colore e la lucentezza dei bozzoli erano eccezionalmente omogenei.
Infine con movimento lento accostò una manciata di bozzoli alle narici constatando che non vi era la benché minima traccia di odore sgradevole, eventuale sintomo di bozzoli morti, deboli o malati perché calcinati o negronati.
Lasciò cadere la manciata di bozzoli sopra gli altri e il rumore sordo prodotto gli confermò che erano tutti sani.
Ecco, pensò tra sé, sono sublimi.
Mentre si rendeva conto che il suo cervello era passato automaticamente dalla valutazione sensoriale ai calcoli aritmetici sulla resa industriale di quella partita di bozzoli, Eugenio percepì un brivido scorrere lungo la colonna vertebrale e risvegliatosi dallo stato di trance si rese conto di avere finalmente trovato la parte mancante di ciò che stava cercando.
Ancora una volta pensò tra sé: “ Questo è Oro, Orsago Oro”.
Senza far trasparire alcuna emozione guardò severo e dritto negli occhi il contadino e allevatore che impallidendo non riuscì a sostenere lo sguardo più di un paio di secondi e quindi lo abbassò, timoroso di un verdetto contrario.
Per fortuna questi subito si rianimò non appena udì la sentenza: “Ti e to mujer ve lavorà puìto” (Tu e tua moglie avete lavorato bene).
Solitamente la tecnica di ingaggio per la trattativa era studiata, da commerciante puro e di facile esecuzione con i contadini che vivevano la semplicità quotidiana e poco avvezzi al mercanteggiamento, ma Eugenio sapeva bene che trattare con equità un allevatore che lavorava bene ed onestamente l’avrebbe nel tempo fidelizzato, stimolandolo a fare sempre meglio e con vantaggio reciproco.
Perciò aggiunse: “Par stavolta su l’adeguato te dae anche vinti schéi de pì” (Per questa volta sulla media di prezzo ti riconosco venti centesimi al chilo in più).
Poi per mantenere un atteggiamento severo e distaccato, ma anche per evitare eventuali ripensamenti, Eugenio se ne andò lasciando il compito ai suoi aiutanti di procedere alla pesatura dell’intera partita e al conseguente pagamento dell’allevatore.
Andandosene ripeteva a se stesso: Oro, Oro….(quasi ad evocare il colore giallo oro dei bozzoli acquistati), adesso non manca niente.
Il primo anello mancante l’aveva ottenuto con uno stratagemma al limite del lecito, perpetrato ai danni di un suo amico concorrente.
Più amico che concorrente.
Si era recato, qualche tempo prima, per una visita di cortesia ma “a sorpresa” presso la filanda dell’altro.
Entrato improvvisamente nella sala di filatura l’aveva subito visto dall’altra parte del salone lungo e stretto, con la consueta colonna di filandiere schierate ognuna di fronte alla propria bacinella.
Con fare disinvolto si era subito diretto verso l’amico a braccia aperte gridando: “Carissimo!”, ma registrando perfettamente nella sua testa le diverse regolazioni del macchinario di filatura che scorreva ai suoi lati, mano a mano che avanzava.
L’altezza del posizionamento del bottone di porcellana che regola il titolo e il conseguente diametro e disposizione delle rose di bozzoli nella bacinella a 8 capi, la velocità di raccolta sull’aspo e la conseguente tensione del filato, la lunghezza e l’apertura dell’angolo della torta e la distanza di quest’ultima dalle rotelle poggiafilo.
Mentre l’abilità sensoriale l’aveva sviluppata solo con la pratica in anni ed anni di lavoro, le conoscenze tecniche anch’esse maturate sul campo avevano basi solide avendo frequentato da giovanotto una tra le più importanti istituzioni italiane per l’Industria Serica, la scuola aspiranti direttori filande e filatoi di seta in Milano.
A nulla era servito l’urlo strozzato dell’amico, con gli occhi fuori dalle orbite, a sovrastare il rumore dei macchinari: “Fermate tutto !”.
I macchinari erano stati fermati ma ormai Eugenio aveva capito quanto bastava e il momento di silenzio successivo delle macchine e delle filandiere attonite non aveva nascosto a queste ultime il commento sconsolato del filandiere padrone di casa: “Fiol d’un can !”.
I due amici si erano poi abbracciati, come consuetudine, lasciando le filandiere spettatrici del siparietto ancora più sconcertate.
In effetti non mancava più nulla e un mese e mezzo più tardi, dopo che la grossa partita di bozzoli acquistata era stata opportunamente stagionata, la Filanda Levade di Orsago produceva a ritmo serrato la seta greggia a marchio “Orsago Oro”.
La 20/22 denari sublime. La seta perfetta con la quale poi in tessitura si produceva la leggerissima ma tenacissima tela da paracadute.
Era il 1938 e già nubi scure si stavano addensando sopra l’Europa e sopra il mondo intero.
Famiglie di filandieri
Famiglia De Ponti
Quando ricevette dal padre Gaetano una fornace nel comune di Greco a nord-est di Milano, oggi quartiere della metropoli lombarda, Luigi De Ponti (1805-1868) gli fu molto grato per avere dato il via alla sua attività imprenditoriale. Luigi però aveva compreso che per emergere dalla media borghesia del tempo avrebbe dovuto spingersi in quel settore che rappresentava il primo vero passaggio da un’economia agricola-rurale ad una economia industriale.
Quel passaggio era rappresentato dalla filanda di seta, perché nella filanda si materializzava un vero e proprio miracolo. Con l’introduzione attorno al 1840 della nuova tecnologia che utilizzava le prime bacinelle da macero, il prodotto combinato dell’agricoltura e dell’allevamento veniva trasformato attraverso l’utilizzo di macchinari, anche se combinato ad un notevole impiego di manodopera, nel prezioso filato di seta greggia, materia prima indispensabile per tessere stoffe e tessuti pregiati.
Luigi, dopo aver acquistato sotto il Governo Austriaco una villa nel comune di Crescenzago sulla sponda del Naviglio della Martesana alla metà del XIX secolo, decise di utilizzare una parte del giardino all’italiana della villa per costruire, nel 1854, una filanda a vapore dotata di 96 bacinelle e 48 sbattrici (batteuses come si usava dire allora) una ogni due bacinelle di filatura , caldaia a sistema Cornovaglia e motrice di vapore e un apparecchio completo per l’estrazione della fumana. La filanda inoltre era dotata di una ruota idraulica in ferro con pale in legno, posizionata in un canale idraulico in fregio al Naviglio, che trasmetteva il movimento alle pompe idrauliche per fornire d’acqua la filanda e restituirla dopo averla utilizzata, al suo interno il fabbricato era anche dotato di una stufa per l’essiccazione dei bozzoli, operazione delicata che aveva una pari importanza con il processo di filatura.
Nel 1868 alla morte di Luigi i figli Domenico De Ponti (1837-1916) e il fratellastro Angelo De Ponti (1829-1920), figlio della prima moglie di Luigi, presero in gestione la filanda di Crescenzago entrambi ricoprendo per diversi anni anche la carica di Sindaco rispettivamente per i Comuni di Crescenzago e di Cinisello Balsamo.
Intorno al 1870 anche il secondogenito di prime nozze di Luigi, Giovanni De Ponti (1832-1909) aprì una filanda a Sesto San Giovanni all’interno della Villa Visconti d’Aragona. Questa filanda era decisamente di piccole dimensioni avendo solo 20 bacinelle. L’attività principale dei De Ponti di Sesto era l’incetta dei bozzoli a fresco dai contadini, prima che questi venissero immessi sul mercato e la successiva rivendita a secco. Il commercio dei bozzoli secchi era decisamente diverso e più remunerativo rispetti ai freschi, essendo non deperibili erano commerciabili durante tutto l’anno. Quando il mercato del fresco non poteva essere alimentato, i bozzoli secchi aumentavano di valore diventando a volte merce rara e costosa.
Angelo De Ponti (1876-1947), figlio di Domenico proseguì l’attività per qualche anno dopo la morte del padre, ma nel 1919 decise con le sorelle di chiudere la filanda di Crescenzago e dedicarsi esclusivamente al commercio della seta aprendo un ufficio a Milano a pochi passi da via Brera dove si teneva settimanalmente il mercato della seta.
Nonostante le avversità del periodo tra le due guerre culminate con la crisi mondiale del ’29, Angelo riuscì a districarsi in un mercato incerto e difficile, istruendo poi a dovere il figlio Umberto De Ponti (1919-2008) ed
introducendolo nel mercato della seta.
Angelo De Ponti
Domenico De Ponti
Famiglia Levade
Vittorio Levade (1865-1934) originario di Susegana fu per diversi anni direttore della filanda di Collalto di Susegana ed anche della Filanda di Sernaglia fino al 1917.
Quando passò il testimone al figlio Eugenio Levade (1890-1965) questi, dopo una breve gavetta quale direttore alla filanda Banfi e poi Bonazzi di Arzignano e direttore della Casa per la Vendita di Seta istituita a Milano dalla ditta Bonazzi e Sbrojavacca, comprese immediatamente che la sola direzione, seppure di una grande filanda, gli andava stretta.
Dopo il congedo dal periodo bellico, nel 1919, decise di intraprendere l’avventura in proprio acquistando la filanda di Orsago, un paese dell’alto trevigiano, allora di 40 bacinelle dalla famiglia Zanin. Nel 1926 ingrandisce la filanda aumentandola di 62 bacinelle (in totale 104) ed acquistando la metà di un vasto fabbricato d’ammasso e d’essicazione bozzoli a San Fior.
Dal 1923 al 1926 l’industria serica era andata sempre più progredendo tanto che i bozzoli raggiunsero in quell’ultimo anno la ragguardevole prezzo di 40 lire al chilo. Purtroppo, una grave crisi di settore e la successiva crisi mondiale fece crollare il prezzo a 2,2 lire al chilo nel 1929.
La crisi del ’29 fu spietata anche ad Orsago dove ci furono almeno 300 licenziamenti in filanda, ma ciononostante Eugenio non si scoraggia. Il suo intuito gli fa prevedere una futura brillante ripresa. In Lombardia si tagliano i gelsi e si mettono in vendita i macchinari e Eugenio li compra, li compra a prezzo di demolizione, li trasporta a Orsago dove li trasforma modernizzandoli per poi aumentare la potenzialità del suo impianto ed anche rivendendoli. Acquistò i macchinari delle filande di Capriano, Carugate, Lainate, Osio, Cormons, Codogno, Soresina, Pistoia, Pavia di Udine, Budoia, Valdobbiadene, Bernareggio, Sulbiate, Albavilla, Calcinato ed altre. Fa perfino montare una filanda in Calabria fornendo il personale specializzato a tale scopo.
Dapprima portò la filanda di Orsago al suo massimo sviluppo con 224 bacinelle e circa 500 dipendenti, poi iniziò ad acquisire filande non solo in Veneto ma anche in Friuli. Caneva, Stevenà, Sacile prima e poi San Fior (62 bacinelle), Parè solo per la filatura di doppio, Varmo (34 bacinelle), Santa Lucia di Budoia e Vedelago (40 bacinelle) entrarono nel novero delle Filande Levade ed Eugenio diventò uno dei più quotati filandieri non solo della provincia di Treviso.
Con l’avvento delle Corporazioni, che limitavano l’attività delle filande alla lavorazione per assegnazione contingentata di un determinato quantitativo di bozzoli per ogni bacinella moltiplicato il numero dei capi, Eugenio Levade decise anche di affittare, in alcuni casi, o a far lavorare a conto terzi, in altri, numerose filande. Tra le tante si annoverano Campocroce, Zerman, Sernaglia, San Pietro Rosà, San Martino di Lupari, Pordenone, Volpago, Maniago, Francenigo, Inverigo, Rossano, Castelnuovo Veronese, Calcinato, Cison di Valmarino, Villafranca, Savassa, Sulbiate, Presezzo.
Nella filanda di Orsago era stato istallato anche un essiccatoio per la stufatura dei bozzoli e questo consentiva di rendersi indipendenti nello stoccaggio e stagionatura della materia prima. I contratti con i contadini erano di solito conclusi “ a resa” cioè veniva pagato loro un congruo anticipo al momento dell’ammasso e la differenza veniva corrisposta in base alla resa serica ottenuta.
Dopo la seconda guerra mondiale, la spinta di rinnovamento ed economica sostenne le filande italiane ancora per alcuni anni. Potendo vantare il veneto una buona produzione di bozzoli , questi venivano utilizzati totalmente dalle filande ancora funzionanti che intanto avevano cercato di modernizzare i loro macchinari fino a portare ogni singola bacinella alla straordinaria produzione di 16 capi.
A metà degli anni ’60 con la forte concorrenza giapponese prima e cinese poi e con i costi crescenti della manodopera in Italia, la filanda di Orsago si vide costretta a ridurre i lavoratori a non più di 120 ed a ben poco servì l’estremo tentativo fatto dal figlio di Eugenio, Vittorio Levade (1928-2020), di modernizzare i macchinari di filatura installando le macchine automatiche Tama di fabbricazione giapponese.
Nel 1974 la filanda chiuse i battenti definitivamente.
Nel 1987 Paolo De Ponti (1961) figlio di Umberto e di Liliana Levade inizia con il padre un’attività commerciale in proprio e da subito comprende che per poter soddisfare a pieno le richieste della clientela è necessario recarsi costantemente in Cina per monitorare le produzioni di seta e coltivare i rapporti con i fornitori. Il benvenuto nel mercato cinese lo ebbe già da subito nel 1989 con i moti di piazza Tienanmen che sconvolsero la Cina e bloccarono il mercato dell’esportazione.
Paolo, oggi con più di 35 anni di esperienza, conosciuto ed apprezzato imprenditore sia tra i fornitori cinesi che tra i clienti europei, guida la rinnovata Filande Levade SA.