Il Gelso
Il baco da seta e è un lepidottero bombycidae, monofago, che si nutre esclusivamente delle foglie di differenti varietà di gelso.
Il suo allevamento richiede necessariamente la coltivazione del gelso, anche nel caso in cui si utilizzi una dieta di sostituzione, spesso indicata come artificiale, nella quale le foglie di gelso essiccate sono la componente essenziale.
Sistematica del genere Morus
Il Gelso è una pianta erbacea arborea o arbustiva la cui diffusione è originariamente collocata nelle regioni asiatiche intorno all’Himalaya, anche se, grazie alla sua straordinaria capacità d’adattamento, ha raggiunto una diffusione pressoché universale.
Le varietà identificate sono diverse centinaia e si differenziano tra loro per caratteri morfologici rilevanti, soprattutto a carico delle foglie. Esse, infatti, presentano ampia diversità che spazia dalla forma intera o lobata, lunga o rotonda, con margine dentato o seghettato.
La pagina superiore è di norma liscia mentre quella inferiore è ricoperta da leggera peluria. È specie monoica e le piante portano infiorescenze maschili e femminili separate fra loro.
Le prime, allungate e pendenti, sono dette amenti, mentre le seconde, di forma tondeggiante, dopo l’impollinazione si trasformano in un sorosio, comunemente conosciuto come “mora del gelso”.
L’identificazione e la classificazione delle numerose specie non è del tutto agevole a causa dello sterminato numero di varietà e incroci via via eseguiti nel corso dei secoli, ma oggi un grande aiuto viene dalla genetica e dalla possibilità di utilizzare le tecniche di analisi DNA semplificate.
È importante notare che nella tradizione agricola italiana si adottava una classificazione generale del tutto empirica seppur efficace. Innanzitutto, si distingueva il gelso nero (Morus nigra) da tutte le altre specie raggruppate genericamente nella categoria “Gelso Bianco” (Morus alba), sebbene siano queste ultime un insieme di varietà appartenenti a specie diverse, introdotte a più riprese, o frutto di selezioni operate in loco nel corso dei secoli. Il Morus nigra, maggiormente diffuso nelle regioni del sud, è stato introdotto in epoca di colonizzazione greca come pianta da frutto e solo successivamente utilizzato per l’allevamento del baco da seta. Non si sa esattamente quando siano state introdotte le prime varietà di Gelso Bianco, ma sono divenute alimento di riferimento del Bombyx mori già in epoca medievale sebbene il Morus nigra sia stato utilizzato in allevamento fino ai primi decenni del secolo scorso.
Il gelso ben si adatta in tutta la fascia climatica mediterranea, spingendosi fino alle zone prealpine. La capacità di adattamento alle diverse tipologie di suolo è molto ampia, se si escludono i terreni con accentuati squilibri di composizione ed acidità. È evidente che la qualità del terreno e la disponibilità di irrigazione sono elementi determinanti per la produttività, soprattutto per quanto riguarda le aree marginali e i terreni con ridotta fertilità. Considerando le condizioni medie Italiane, si puo’ dire che il gelso si adatti perfettamente sia in pianura, con suoli ad elevata fertilità, sia in terreni collinari appenninici con terre a prevalente composizione argillosa. Di fondamentale importanza è la corretta scelta varietale ed il sistema di allevamento prescelto: il resto è fatto dalle buone pratiche agronomiche.
La riproduzione del gelso
I metodi di riproduzione del gelso differiscono in funzione delle aree geografiche e dal tipo di risorse tecnologiche disponibili.
Il sistema più semplice e maggiormente diffuso è la radicazione per talea legnosa.
In area subtropicale questa pratica viene effettuata mettendo direttamente in terreno le talee della lunghezza di 20 cm.
Le favorevoli condizioni climatiche garantiscono una elevata percentuale di radicazione.
E’ preferibile l’impiego di un letto di radicazione riscaldato, ma posto in ambienti con temperatura dell’aria non superiore a 10°C, condizioni che in Italia si riscontrano nel mese di marzo. Con queste combinazioni di temperature si favorisce lo sviluppo dell’apparato radicale rispetto alle parti aeree. Infatti, con temperatura esterna superiore a 14°C le gemme tendono a germogliare e sviluppare foglie più velocemente delle radici.
Una volta consumate le riserve presenti nella talea le foglie avvizziscono perché le piccole radici non saranno in grado di assorbire l’acqua e i nutrienti necessari alle foglie già in fase di crescita avanzata.
Il bancale a fondo riscaldato, e mantenuto all’aperto, è una soluzione ottimale. Esso è in grado di favorire lo sviluppo di un forte apparato radicale prima della schiusa delle gemme garantendo un elevata percentuale di attecchimento.
La riproduzione per innesto su piede selvatico, un tempo preferita, è praticata oggi soltanto nel Morus nigra che presenta forti difficoltà di radicazione.
Le varietà di Gelso
Come riportato in precedenza le varietà di gelso sono un esteso universo, poco conosciuto, determinato in gran parte dall’intervento dell’uomo, ma anche per diffusione ed incrocio spontaneo di questa specie. Ogni paese coinvolto nella produzione di seta ha il suo patrimonio di specie e varietà purtroppo solo in rari casi conservate in collezioni e cataloghi pubblici.
Le varietà Italiane sono molte, diffuse e a volte anche dimenticate nell’ampio territorio agrario, ma una parte di esse è conservata presso la pubblica collezione di una sezione del CREA (Centro di Ricerca e Sperimentazione in Agricoltura) a Padova ed in misura minore presso vivai specializzati (Battistini – FC).
In Italia, e in tutte le aree mediterranee, si segue il criterio di scelta delle varietà di gelso basato sulla precocità produttiva. È un criterio cruciale che prevede un preciso assortimento di varietà nell’impianto di un nuovo gelseto. Si tiene conto così dell’epoca di raccolta e del giusto grado di maturazione della foglia per la corretta programmazione degli allevamenti.
La regola pratica suggeriva assortimenti diversi tra il nord, il centro e il sud dell’Italia. Nelle aree a clima caldo queste regole perdono del tutto la loro importanza e si preferisce orientarsi su criteri del tutto diversi scegliendo linee ad alta produttività e resistenza alle patologie, maggiormente dannose nei climi sub-tropicali.
Precocità della varietà maggiormente diffuse in Italia
Il Gelseto
L’impianto del gelseto richiede le stesse tecniche preparatorie del frutteto, senza accorgimenti particolari, mentre le forme di allevamento e le densità di impianto dovranno differenziarsi in funzione dell’estensione degli appezzamenti e la dimensione di allevamento del baco da seta.
La presenza di irrigazione localizzata ottimizza la produttività, specialmente nelle varietà ad elevata resa quali Florio, Kayrio, Ichinoe e Kokuso. Una volta definito l’assortimento delle varietà si procede con le densità e con la scelta della forma di allevamento.
Cina, Sichuan: gelseto su terreno declivo con piantumazione in fila doppia a frenare erosione
L’impianto inizia con la messa a dimora degli astoni, seguendo le buone pratiche agricole ed adattandole alle specifiche esigenze aziendali. Il gelso nelle condizioni ambientali Italiane entra in produzione parziale nel terzo anno dall’impianto e gli interventi eseguiti nei primi due sono diretti alla formazione delle piante.
Vi sono numerose tecniche e sistemi colturali sperimentati a livello internazionale, soprattutto nelle aree a clima caldo, ma di difficile attuazione nel nostro contesto, dove l’andamento stagionale con la fase di riposo invernale limita ad uno o due gli allevamenti possibili.
La tendenza riscontrata in tutti i paesi sericoli è oggi indirizzata a gelsi con portamento cespuglioso e tronco tagliato ad appena 15-20 cm dal livello del terreno.
Questa pratica diventa necessaria se si adottano densità elevate, ma è stata sperimentata con pieno successo anche con densità tradizionali.
Le forme basse consentono una raccolta più agevole e garantiscono produzioni più elevate, specialmente con le varietà ad alta densità di inserzione delle foglie su rami.
Normalmente gli astoni vengono lasciati vegetare liberamente nel primo anno, si spuntano i getti più vigorosi e si eliminano tutti i germogli nella parte basale del tronco, sotto i 50 cm.
Nel terzo anno, alla ripresa vegetativa, si tagliano alla base tutti i rami lasciando solo due centimetri di legno dall’inserzione al tronco. Questo metodo consente di creare il primo abbozzo della testa dalla quale si dipartono tutti i getti successivi.
L’altezza del taglio basale è correlata alla altezza adottata.
Il gelso è specie plastica e si presta a numerose forme di allevamento e densità di impianto.
Si può adottare un reale prato gelso, o un filare con piante ad alto fusto.
Questa estrema adattabilità lascia spazio alla libera intelligenza creativa che dovrà trovare un equilibrio vantaggioso tra condizioni pedoclimatiche ed orientamenti aziendali.
Per l’impianto di un gelseto si suggerisce un assortimento varietale che si differenzia tra regioni del Nord e quelle costiere e centro meridionali.
Si può adottare un reale prato gelso, o un filare con piante ad alto fusto.
Questa estrema adattabilità lascia spazio alla libera intelligenza creativa che dovrà trovare un equilibrio vantaggioso tra condizioni pedoclimatiche ed orientamenti aziendali.
Per l’impianto di un gelseto si suggerisce un assortimento varietale che si differenzia tra regioni del Nord e quelle costiere e centro meridionali.
India: gelseto con due stadi di sviluppo
Assortimento varietale regioni del Nord
Assortimento varietale regione del Centro
Assortimento varietale regione del sud
Esigenze del gelso
Densità di Impianto
La raccolta
Nei paesi orientali la raccolta nel gelso avviene per larga parte mediante sfogliatura. In Cina staccano le singole foglie avvalendosi di una pinza, e questo anche per gelseti di estensione considerevole.
I vantaggi sono tanti; perfetto utilizzo delle foglie, zero sprechi, selezione della foglia, mancanza di danni meccanici, foglie già pronte per essere sminuzzate o somministrate ai bachi.
L’aspetto critico di tale pratica è l’enorme dispendio di lavoro e quindi non sostenibile in altri contesti socio-politici.
La raccolta dell’intero ramo in Italia e Giappone è stata adottata già nei primi decenni del secolo scorso, con innumerevoli vantaggi, dovuti principalmente alla riduzione della manodopera, ma non priva di aspetti negativi.
La raccolta del ramo è nel contempo una potatura poiché a termine della campagna le piante risultano capitozzate e pronte ad un parziale ricaccio tardivo che conclude la stagione vegetativa.
Vi sono numerose possibili varianti di raccolta, che prevedono il taglio parziale dei rami, ma sempre con aggravio di ore di lavoro, per cui la tecnica del taglio e somministrazione dell’intero ramo rimane una pratica ottimale.
La raccolta prevede il taglio dei rami in campo ed il trasporto nelle locali di conservazione, attigui a quelli di allevamento, dove potrà essere mantenuta fino alla somministrazione.
Cina, Sichuan: raccolta manuale della foglia
Cina, Yunnan: raccolta foglie organizzata
Il volume dei rami cresce proporzionalmente con il numero dei bachi in allevamento.
Ad esempio, con un solo telaino, corrispondente a ventimila larve, durante i cinque giorni della quarta età, si richiede la distribuzione di 70 kg di foglia, equivalenti a 170 kg di rami.
È evidente che tali numeri richiedono sistemi meccanizzati in tutte le fasi considerate, soprattutto con allevamento di elevate dimensioni. Nelle fasi di avvio della sericoltura, e con pochi telaini, è possibile ricorrere a mezzi e sistemi tradizionali, basati maggiormente sul lavoro manuale.
Ma la sfida per rendere la bachicoltura sostenibile e vantaggiosa richiede necessariamente una moderna gestione di tutte le procedure adottando le tecnologie più idonee alla riduzione degli interventi manuali.
Attualmente non è disponibile nessun dispositivo di taglio appositamente progettato e dedicato alla raccolta del gelso, ma si possono adattare sistemi in uso per altre coltivazioni.
Per gli allevamenti di piccole dimensioni si può ricorrere vantaggiosamente a semplici forbici pneumatiche.
Nel corso del 2005 vi sono state alcune sperimentazioni, finanziate dalla regione Lombardia, per la progettazione di un prototipo di raccolta e taglio, completamente meccanizzato, ispirato alle tecnologie adottate per la short rotation forestry.
Alcune macchine di raccolta per piccole estensioni sono disponibili in Giappone e costituite da sistemi di taglio delle dimensioni di un motocoltivatore.
Alcune sono semoventi ed in grado di tagliare con elevata accuratezza i rami di gelsi disposti in fila singola e con portamento basso, con tronco non più alto di 25 centimetri.
Altri sistemi di taglio sono in uso nello stato del Paranà in Brasile e basati su barre con differenti tipologie di lame.
Nessuno di questi prototipi è disponibile per l’esportazione.
La conservazione della foglia
Rami raccolti manualmente mediante utilizzo di forbici pneumatiche, o con sistemi di taglio completamente meccanizzato, devono essere legati o impilati in fasci e sistemati in locale apposito per il successivo utilizzo.
Le strutture di conservazione sono costituite da locali, in muratura o a differente struttura, esposti a nord e completamente isolate dall’irraggiamento solare.
All’interno devono essere equipaggiate con un sistema di sprinkler temporizzati in grado nebulizzare piccole quantità di acqua.
Questa tecnica garantisce un elevato livello di umidità e raffreddamento del locale.
In queste condizioni i rami si mantengono in perfetta idratazione per tre giorni consentendo una vantaggiosa ottimizzazione degli intervalli di raccolta.
Al termine di un ciclo di raccolta è opportuno disinfettare il locale di conservazione con ipoclorito di sodio ed acqua per impedire la proliferazione di muffe e batteri.
Sfogliatura dei rami
I rami destinati ad un turno di alimentazione devono essere portati fuori dal locale di conservazione con un certo anticipo per permettere una completa asciugatura ed ambientamento esterno.
La separazione delle foglie dal ramo può essere effettuata manualmente per piccoli allevamenti, ma sono disponibili piccole macchine sia per la sfogliatura sia per il taglio delle stesse quando somministrate ai bachi nelle prime età dello sviluppo larvale.
Le malattie del Gelso
Il baco da seta è un insetto a metamorfosi completa, molto sensibile alle variazioni e contaminazioni ambientali durante l’intero ciclo vitale, ragione per la quale è molto difficile utilizzare fitofarmaci, ed in particolare nei climi temperati dove si ha una sola raccolta annuale o poco più, poiché i residui rimasti su rami e foglie provocherebbero la perdita dell’intero allevamento.
Questa limitazione ha indirizzato la selezione verso varietà ad elevata resistenza, con poche avversità e che non richiedenti alcun tipo di trattamento. Al contrario nelle regioni calde della fascia sub- tropicale, dove le foglie permangono per quasi l’intero anno, vi sono numerosi parassiti e tra questi insetti, funghi, batteri e nematodi.
Marciume radicale
E’una malattia attribuita a diverse specie di funghi che attaccano l’apparato radicale e tra queste Rosellinia necatrix, Rosellina byssiella ed Armillaria mellea.
I danni sono irreversibili con perdita del ceppo attaccato e di facile propagazione alle piante contigue. Radici e tronco vengono invase dalle ife che possono mostrare la presenza di tutte le specie riportate.
La malattia è fortemente favorita da condizione di elevata umidità e scarso drenaggio del terreno. Il gelso mostra una scarsa resistenza a terreni stagnanti e per ovviare a tale criticità in passato si utilizzavano piante innestate sulla varietà Cattaneo, che mostra al contrario elevatissima resistenza ai marciumi radicali.
Fersa del gelso
È una malattia provocata dal fungo Sphaerella mori che si manifesta con macchie circolari sulla lamina fogliare, confluenti fino ad interessare l’intera superficie e provocare la caduta della foglia stessa.
Vi è una forte differenza di sensibilità varietale, ma il fattore di maggiore influenza è dato dal microclima.
La Fersa è favorita in condizioni di scarsa ventilazione ed elevata umidità, ma raramente rappresenta un reale problema poiché gli attacchi maggiori si verificano tra agosto e settembre quando gli allevamenti non sono attivi. Alcune varietà come il Florio sono fortemente sensibili alla Spherella mori nelle regioni del nord mentre in quelle meridionali a clima ventilato non mostrano segni di attacco anche nel tardo autunno.
La fersa può essere un problema negli impianti ad elevata densità se realizzati in contesti con microclima umido e scarsamente ventilato.
Hyfantria cunea
L’Hifantria, conosciuta come Ifantria americana, è un lepidottero Erebidae polifago in grado di nutrirsi di oltre 600 specie diverse di piante.
Le prime fasi di sviluppo delle larve avvengono all’interno di un nido di seta, costruito dalle larve subito dopo la schiusa, che risulta essere una protezione molto efficace dai predatori.
Le larve nelle fasi adulte, protette da peli urticanti, si disperdono sulla pianta conducendo vita solitaria e portando a compimento il ciclo.
La prima generazione che coincide con la prima fase di allevamento del baco da seta può essere controllata asportando i rami con i nodi ed evitando che le larve si disperdano.
La seconda generazione può defogliare completamente i gelsi compromettendo la produzione dell’anno successivo e quindi va controllata ancora con la asportazione dei nidi: in presenza di fortissime infestazioni si utilizza anche il Bacillus thuringiensis, ma solo in assenza di allevamento.
Diaspis pentagona
La cocciniglia bianca fu introdotta nei dintorni di Como, proveniente dal Giappone, nel 1885. In poco tempo si diffuse in tutte le regioni Italiani con gravi danni alle coltivazioni.
Il problema fu risolto nel 1906 dal grande entomologo A. Berlese con l’introduzione del suo nemico naturale, la Prospaltella berlesei, imenottero endofago che rappresenta uno dei primi esempi di lotta biologica applicata.
Altre parassitosi possono colpire il gelso, sebbene piu’ sporadicamente.
Tra questi citiamo diverse specie di Fusarium ed in particolare il Fusarium lateritium, considerato forma conidica della Giberella mori.
Questo patogeno può attaccare soprattutto le giovani piante provocando una moria rilevante.
Una nuova minaccia è stata segnalata negli ultimi anni, ed è il cerambicidae Anoplophora chinensis che rappresentano una gravissima minaccia per molte specie arboree.
In area sub-tropicale i patogeni del gelso sono moltissimi e spesso rappresentano un grave rischio per l’intera produzione di bozzoli.
I manuali Fao dedicati alla sericoltura in aree a clima caldo riportano un lungo elenco di malattie riscontrabili nel gelso che fortunatamente sono difficilmente riscontrabili nel contesto italiano.
A solo titolo di esempio citiamo il nanismo degenerativo dovuto a micoplasmi trasmessi da una cicalina; Hisdimorus sellatus.
L’odio del gelso che è frequentissimo nelle aree sub-tropicali ed attacca molte varietà sensibili nelle prime fasi vegetative.
La ruggine del gelso da Aecidium mori. Tettigoniella viridis, altro cicadellide che attacca il gelso, e diffusissimo in Cina.
La letteratura scientifica riporta molti lavori e review nei quali sono trattate le patologie nel contesto di riferimento.
Biomasse proteiche
In una relazione dell’Associazione Serica Italiana, risalente agli anni 30, si riporta una sorta di interpellanza rivolta al ministro della Agricoltura, in cui si lamentano gli scarsi controlli eseguiti a carico dei bachicoltori meridionali.
La ragione era dovuta al fatto che molti agricoltori preferivano utilizzare le foglie di gelso per l’alimentazione bovina piuttosto che per l’allevamento del baco da seta, sottraendo preziosa materia prima all’industria serica nazionale.
Dal documento emerge una sorta di obbligo verso l’utilizzo del gelso per il solo scopo di produrre seta.
Il fenomeno era consistente e non era possibile sottovalutarlo e anche ben conosciuto.
Gli agricoltori del mezzogiorno, soprattutto quelli piccoli, avevano necessità di produrre latte per sostentamento famigliare e soprattutto per produrre formaggio, altrettanto profittevole.
I formaggi meridionali erano a quel tempo per grossa parte del tipo a pasta filata, vale a dire caciocavalli e provole che richiedono un latte ad elevato contenuto proteico e pochi grassi, ma la scarsa qualità del foraggio estivo non permetteva ai bovini di produrre un latte di così elevata qualità. Le foglie di gelso erano il rimedio, un foraggio con elevato contenuto di proteine disponibile anche nella secca stagione estiva.
Le grandi mandrie del latifondo sopperivano a questa carenza con la transumanza, a quel tempo detta monticazione.
In una sperimentazione condotta nel corso del 2005, finanziata dal Ministero dell’Agricoltura, furono condotte presso la Stazione Sperimentale Seta di Milano una serie di analisi composizionali delle foglie di gelso provenienti da differenti regioni italiane.
I risultati furono sorprendenti; in Calabria, Basilicata e Sicilia il contenuto proteico delle foglie di gelso Florio raggiungevano picchi pari al 34%. Molto più elevato comunque di tante foraggere classiche come l’erba medica.
La cattiva abitudine che si rimproverava agli agricoltori meridionali di sprecare il gelso per i bovini aveva dunque un senso e nella logica di una piccola attività di campagna non era per nulla uno spreco, ma esattamente quello che riporta il titolo di questo paragrafo: utilizzo multiplo del gelso.
Le more di gelso
Si è scelto il termine multiplo per via delle more, soprattutto quelle di Morus nigra, che venivano un tempo raccolte e utilizzate nella gelateria.
Il sorbetto (dal latino sorbere, bere, sorbire) di more di gelso, diffusissimo ancora oggi in Sicilia, risale ad epoca romana e tra le tante ricette si cita spesso quella di Plinio Il Vecchio – Si mescolava il ghiaccio tritato finemente al miele e al succo della frutta e farina finissima per ottenere una densa emulsione non dissimile a quella attuale.
Ancora oggi, oltre al Morus nigra , esistono varietà ed ibridi creati appositamente per la produzione di frutta, selezionati per serbevolezza e facilità di raccolta delle more.
Vietnam: gelso da frutta
I dati di laboratorio hanno dato evidenza analitica ai pregi composizionali della foglia di gelso che già erano confutati dall’esperienza degli agricoltori, che sapevano anche che bovini, cavalli ed ovini, insieme a tutte le altre specie di interesse zootecnico, sono in grado di divorarne persino la corteccia.
In seguito a quelli citati precedentemente si sono aggiunti molti altri progetti indirizzati allo studio del gelso come fonte di biomassa proteica, e tra i tanti vale la pena di citare quelli sostenuti dalla FAO raccolti nel libro – Mulberry for animal production (Food and Agriculture Organization of the United Nations. Food & Agriculture ) curato da Manuel Sanchez (FAO Animal Production Officer ).
Lo stesso lavoro è divulgato anche attraverso una Electronic Conference consultabile a questo link.
La conferenza raccoglie circa trenta lavori sperimentali provenienti da diversi contesti ambientali.
La coltivazione del gelso per la produzione di foraggio proteico, come riportato nei lavori sperimentali FAO, si presta in modo elettivo come integratore in grado di migliorare sensibilmente la qualità degli allevamenti. Queste caratteristiche qualitative sono riconducibili oltre al contenuto proteico alle componenti minerale, vitaminiche e per la presenza di sostanze polifenoliche, oggetto di interesse anche per la possibilità di impiego per prodotti destinati all’uomo.
Quindi le foglie possono essere utilizzate come foraggio fresco o secco (sfarinato proteico) e per la mangimistica, ma sono state condotte sperimentazioni anche per il pascolamento diretto, principalmente nelle aree declivi, dove il gelso ha funzioni di protezione del suolo stesso.
Il gelso è stato utilizzato con eccellenti risultati nell’alimentazione di specie minori quali coniglio, pollo, tacchino, struzzo, per pesci erbivori e soprattutto nell’allevamenti di capre da latte attraverso pascolamento diretto o con uso di sfarinati.
In Giappone il gelso è utilizzato persino nella produzione di carta e nella preparazione di substrati per la coltivazione di funghi.
Le proprietà medicinali
Le proprietà medicinali del gelso sono note da tempi remoti: ne hanno maggiore contezza gli orientali che da sempre sanno integrare le vecchie pratiche con le moderne risorse della medicina.
Non vedono nessun conflitto in questo connubio che in occidente è stato trattato con supponenza e disprezzo. Oggi sono tante le sperimentazioni pubblicate e hanno confermato molte proprietà medicinali tradizionalmente conosciute.
In Cina, Giappone, India e Corea sono utilizzati preparati a base di gelso per la cura di alcune forme di diabete e per il controllo del livello del colesterolo ematico. Le proprietà medicinali sono tutte connesse con i cosiddetti metaboliti minori e tra questi uno concentra molta parte dei lavori sperimentali.
La componente di maggiore interesse è il DNJ (Deoxinojirimicina), potente inibitore delle α-glucosidasi, utilizzato per i suoi effetti ipoglicemizzanti e per la riduzione dell’apporto calorico, rallentando l’assimilazione degli zuccheri.
Ne sono state indagate anche le proprietà antiinfiammatorie e di contenimento del profilo lipidico nel sangue connesse con la presenza di Quercetina, Campferolo, Astragalina (Flavonoli), Resveratorlo ( Stilbeni) e Cianidine ( Antocianine).
Protezione del suolo
I filari di gelso sono da sempre un elemento costitutivo del paesaggio agraricolo italiano. Segnano confini e margini stradali di pianura ed in collina sono strumento di protezione dei suoli attraverso il consolidamento di bordi, canali di scolo e frange declivi sottoposte a facile erosione. Attualmente il gelso è ampiamente utilizzato anche nelle regioni tropicali, nel recupero delle terre deforestate e in quelle soggette alla deriva lateritica.
L’azione di protezione del suolo avviene grazie alla particolare tipologia del suo apparato radicale, esteso e profondo, in grado di colonizzare ambienti differenti: da quelli salsi e caldi, situati lungo le coste, fino alle aree fredde pedemontane poste ad un altitudine di 800-900 msl.
Da quanto descritto si evince che il gelso è specie idonea alla sistemazione di aree collinari e pedemontane con esigenze ambientali ed ecologiche particolari. In questi ambienti il gelso può trovare utilizzo nella riforestazione produttiva per uso energetico o zootecnico, in forme e modalità tecniche adeguate.
Può inserirsi nella produzione di piccoli frutti insieme al mirtillo, lampone e fragola e nella produzione di latte di elevata qualità.
Nei contesti maggiormente isolati e salubri è ipotizzabile la coltivazione del gelso su piccole superfici per la produzione di foglie ed estratti ad uso fitoterapico.
Nelle aree di pianura, più fertili, il gelso è in grado di raggiungere una produzione di sostanza secca superiore a 10 t/ha, con contenuto proteico pari o spesso superiore a quello della erba medica.
La fertilità di tali ambienti è in grado di esaltare le potenzialità produttive delle varietà ad alta preponderanza di foglia, anche con la rivalutazione degli impianti lineari, cioè i tradizionali filari lungo fossi, argini e bordi stradali, dando così vita ad importanti angoli di biodiversità nel regno della monocoltura.
Composizione della foglia di gelso
I frutti mostrano una grande variabilità composizionale, relativamente alla specie, alla varietà, all’ambiente e alle condizioni climatiche e di fertilità del suolo.